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IL CARCERE: UN FIORE ALL'OCCHIELLO O UN LUOGO DA INCUBO?

Intervento in Consiglio Comunale - 24 novembre 2008

Probabilmente entrambe le cose, perchè si tratta di un luogo di contraddizione, che assomma su di sé la ambivalenze di una società che ha scelto di fare della pena un'occasione di recupero e di riabilitazione ma che, nel contempo, fatica a creare le condizioni basilari per il rispetto della dignità umana, senza il quale non esistono né recupero né rieducazione.
E' vero che negli ultimi venti anni è maturata una maggior consapevolezza della necessità di offrire possibilità di recupero per chi ha sbagliato e dell'opportunità di investire su percorsi che rendano la detenzione non solo uno strumento di espiazione della pena ma anche di ricostruzione di soggetti che tornino nella società civile in condizioni di ripagare il danno e di portare di nuovo il proprio contributo costruttivo al bene comune, della propria famiglia e dei propri contesti di vita.
E' vero anche che i soggetti coinvolti in questo processo nel carcere del nostro territorio sono tanti e lavorano insieme proficuamente da tempo, continuando a farlo anche con questa Amministrazione.
E' vero però anche che il lavoro in carcere è ancora un'opportunità per pochi, che spesso diventa un privilegio per alcuni (soprattutto per chi ha risorse per pagarsi avvocati in grado di rappresentare efficacemente le loro istanze ottenendo molti benefici ad altri negati); tale mancata opportunità può in tal modo trasformarsi per molti in un'ulteriore discriminazione, fino ad incrementare quel processo di emarginazione a cui inevitabilmente il carcere relega.
Non va pertanto mollata la presa e va raccolta e sviluppata ogni minima possibilità di ampliare le occasioni di lavoro, di studio, di recupero delle capacità espressive e creative, non stancandosi mai di allacciare reti di collaborazione e nuove sinergie, soprattutto a favore dei soggetti che anche dentro il carcere continuano ad essere più deboli di altri.
Non va però nel contempo dimenticato che il sovraffollamento rimane un problema enorme, dato che rende quel luogo (ben lungi sotto questo profilo dall'essere un modello) un luogo invivibile perchè manca l'aria, manca lo spazio, mancano le condizioni per continuare a considerarsi uomini e ad essere considerati tali dagli altri. Non credo che la soluzione stia nel costruire altri istituti di pena, quanto di incentivare e rivedere le misure alternative, non investendo risorse sulle strutture ma sul personale educativo, psicologico e medico, al fine di sviluppare maggiori opportunità di accedere ai progetti individualizzati ed alle occasioni di recupero.
Non va dimenticato, inoltre, che, sebbene sia stata attivata la figura del Garante dei Diritti dei Detenuti presso il carcere di Monza, sulla sua funzione mancano riscontri sufficientemente documentati e resi pubblici. In questo modo viene fortemente limitata la possibilità di rappresentare all'esterno i bisogni, le difficoltà e la necessità di veder tutelati i diritti delle persone detenute.
Non va dimenticato, infine, che il rispetto della dignità della persona che esce dal carcere dopo aver scontato la pena deve coinvolgere tutta la società, tutto il contesto civile e la comunità territoriale a cui queste persone contano di poter fare riferimento per il lavoro, per la casa, per la riattivazione di reti sociali positive per sé e costruttive per gli altri. Non dimentichiamoci che le reti criminali sono estremamente pronte ed abili nel reintercettare manovalanza capace di delinquere ed estremamente fragile se lasciata sola e respinta da contesti ed occasioni di reinserimento sociale effettivo.
Da qui l'impegno di tutti a creare e sviluppare una cultura dell'accoglienza intelligente, efficace, operativa, all'altezza della complessità dei problemi. L'attenzione allora dovrà essere volta da parte di tutti, e soprattutto delle istituzioni, non a favorire ed enfatizzare obsolete risposte assistenzialistiche, buoniste ed utili più ad incensare la propria “generosità” che ad incontrare l'altro per quello che davvero è, con tutte le sue contraddizioni e le sue risorse. Occorre invece recuperare la capacità reciproca di negoziare diritti e doveri in un'ottica di recupero pieno della dignità della persona, dalla vittima al colpevole.

Bertola Cherubina - Gruppo Consiliare PD

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